Il miracolo del dialogo

Due persone che parlano attraverso il telefono senza fili ma il filo è spezzato.

Quante volte le relazioni che abbiamo con le persone sono fonte di insoddisfazione o frustrazione? Quante volte soffriamo perché non ci  sentiamo ascoltati e compresi?

Seneca ha detto “L’uomo è un animale sociale, le persone non sono fatte per stare da sole” … ed è proprio così!  Tutti noi non possiamo fare a meno di avere rapporti con chi ci sta intorno e non è possibile migliorare la propria vita, essere più sani e felici, se non si migliora la qualità delle proprie relazioni.

In questo articolo vedremo come è possibile costruire delle relazioni efficaci con le persone che incontriamo ogni giorno e, soprattutto, vedremo quali errori non dobbiamo commettere.

Costruire relazioni efficaci.

Una comunicazione è efficace quando:

  • Promuove il cambiamento in uno o più delle persone coinvolte;
  • Consente la risoluzione dei conflitti senza l’esercizio del potere e senza lasciarsi dietro “vincitori” e “vinti”.

Se si vuole veramente e seriamente migliorare le proprie relazioni con le persone che si hanno intorno, è essenziale acquisire e sviluppare quattro abilità:

  1.  come e quando ascoltare;
  2.  come parlare in modo opportuno e quando;
  3.  gestire i conflitti in modo che nessuno finisca col sentirsi perdente e quindi risentito;
  4.  stabilire e mantenere un dialogo aperto con le persone cui si tiene maggiormente.

La comunicazione interpersonale ha una duplice finalità: comprendere ed essere compresi. Quando riferiamo a qualcuno un nostro stato d’animo, lo facciamo perché desideriamo che l’altro sappia ciò che stiamo vivendo interiormente, comprenda i nostri pensieri e i sentimenti che stiamo provando. Perché ciò accada è necessario che noi parliamo con il nostro interlocutore e che egli ci capisca.

In pratica, se vogliamo che l’altro ci conosca è necessario che noi ci apriamo, riveliamo chi siamo veramente e quali sono i nostri desideri.

Perché la nostra condivisione produca gli effetti che desideriamo è però fondamentale che l’altro ci comprenda. Essere compresi dal nostro interlocutore significa che egli percepisce ciò che si agita in noi, intuisce ciò che stiamo provando e ci fornisce la sua interpretazione del nostro stato d’animo: in una parola, deve provare “empatia” nei nostri confronti.

Ascoltare nel modo giusto.

Spesso quando condividiamo il nostro stato d’animo con un’altra persona riceviamo in cambio un consiglio, una pacca sulla spalla, che sia reale o metaforica poco importa, ma non è di ciò che abbiamo bisogno, non è per questo motivo che abbiamo rivelato i nostri sentimenti e/o pensieri.

Quello di cui abbiamo bisogno è di qualcuno che ci faccia da specchio, che ci aiuti a portare a termine le nostre riflessioni, senza fornirci una soluzione su di un piatto d’argento.

Senza neanche rendercene conto, replichiamo con gli altri ciò che non vorremmo che gli altri facessero con noi: offriamo a chi si confida con noi interpretazioni e suggerimenti non richiesti.

Quello di cui invece ogni persona ha bisogno è quello che viene definito “ascolto attivo”. Esperienze, sentimenti e pensieri non possono essere comunicati in modo esatto: noi possiamo comunicare il nostro stato d’animo, ad esempio il sentirsi triste, ma non trasmettere la nostra esperienza   di tristezza, quella rimane dentro di noi.

E’ come se la nostra fosse una comunicazione in codice ed il nostro interlocutore ha il compito di decodificarla. In alcuni casi l’operazione è semplice perché il messaggio è chiaro (sono stanco voglio sedermi), ma nella maggior parte dei casi le cose vanno diversamente. E’ come se tutti parlassimo una lingua che ha bisogno di essere tradotta.

L’unico strumento che abbiamo a disposizione per accertarci che ciò che abbiamo capito è effettivamente ciò che il nostro interlocutore voleva dirci è il feedback o retroazione. Se la nostra decodifica è corretta – quindi se il significato che abbiamo dato al messaggio del mittente coincide con quello dato da lui alle proprie parole – la persona con la quale stiamo parlando, dopo averci confermato di aver capito bene, sarà propensa a continuare a parlare proseguendo nelle proprie riflessioni. Al contrario, se il nostro feedback non rispecchia ciò che il nostro interlocutore intendeva dire, avrà la possibilità di correggerci. Il processo è autocorrettivo, quindi preserva da errori e fraintendimenti.

Le barriere alla comunicazione.

Molto spesso, pur avendo i migliori propositi, rispondiamo, o ci sentiamo rispondere, ai problemi confidati facendo ricorso a delle tipologie di risposta che, indipendentemente dalla volontà di chi le formula, interrompono la comunicazione. Tali tipologie di risposte vengono per l’appunto definite “barriere alla comunicazione”. Ne esistono 12 categorie, vediamole utilizzando un esempio.

Situazione di partenza: nella sala di aspetto di un aeroporto c’è una madre con la sua bambina; la bimba pronuncia la seguente frase: “Non voglio salire sull’aeroplano. Non voglio andare. Voglio andare a casa”.

Di seguito le 12 risposte diverse della mamma, tutte ugualmente inefficaci:

  1. Esigere, comandare, dirigere: “Ci andrai, quindi taci e basta”.
  2. Minacciare, ammonire: “Se non la smetti di lagnarti, ti darò io un buon motivo per frignare!”.
  3. Sentenziare, fare la predica: “I bambini veramente buoni non piangono e ubbidiscono. Dovresti essere contenta di fare questo viaggio per andare dalla nonna”.
  4. Dare suggerimenti e consigli, offrire soluzioni: “Bisogna soltanto pensare ad altro, poi ci si sente meglio. Perché non prendi i tuoi pastelli e disegni qualcosa?”.
  5. Spiegare, insegnare, argomentare: “Ci vogliono soltanto tre ore per arrivare a casa della nonna”.
  6. Giudicare, biasimare, criticare: “Sei la bambina peggiore di tutto l’aeroporto!”.
  7. Elogiare, adulare: “Ma se sei una bimba così grande e intelligente!”.
  8. Etichettare, ridicolizzare: “Ti stai comportando come una bambina”.
  9. Interpretare, diagnosticare, analizzare: “Stai soltanto cercando di mettermi in imbarazzo”.
  10. Consolare, compatire: “Povera bimba. Viaggiare ti affatica tanto, vero?”.
  11. Inquisire, mettere in dubbio, sottoporre a interrogatorio: “Perché ti comporti così?”.
  12. Eludere, fare del sarcasmo, distrarre: “Guarda quel grosso palloncino rosso che ha quel bimbo laggiù”.

Quante volte vi sarà capitato di dare queste risposte con l’autentica volontà di essere di aiuto e di sostegno. E chissà quante volte ve le sarete sentite dire ed avrete provato frustrazione per non essere stati compresi.

La maggior parte delle persone di fronte a risposte simili si chiude in se stessa, si defila o cerca inutilmente di farsi capire.

Nessuna delle 12 barriere trasmette alcuna comprensione da parte della persona che ascolta, esse piuttosto rivelano i suoi pensieri e le sue impressioni.

Se ciò non bastasse, le barriere contengono dei messaggi impliciti:

  • Con le prime cinque barriere si sottintende: “Sei troppo sciocco per capire da solo e quindi te lo dico io”.
  •  le barriere dalla 6 alla 11 alludono: “C’è qualcosa che non va in te” (e nei casi in cui si analizza e si diagnostica chi ci parla, si specifica anche cos’è che non va);
  •  La barriera 12 cela il messaggio: “È pericoloso parlarne” oppure “Mi mette a disagio sentirti parlare così”.
Vignetta dove padre e figlio sono di spalle. Il figlio dice "Babbo, io mi sento ignorato da te.", il padre risponde "...ok ma dopo che l'hai sentito, l'importante è che metti in ordine tutto."

I cinque strumenti per l’ascolto.

Per comprendere ciò che una persona pensa e/o prova è essenziale che chi ascolta accetti, almeno in quel momento, i pensieri ed i sentimenti di chi parla come veri e pertinenti a fatti e deve, di conseguenza, utilizzare un linguaggio di accettazione, formulando dei feedback che ne testimonino la comprensione.

Ci sono cinque strumenti utili all’ascolto:

  1. Tacere: può sembrare una banalità dirlo, ma spesso è una cosa che non si fa; per ascoltare veramente una persona è necessario stare in silenzio e non dire nulla; è impossibile ascoltare in modo efficace mentre si parla o si pensa a cosa si dirà in seguito
  2. Prestare attenzione mentre si tace;
  3. Riconoscimento: mentre si sta in silenzio, per quanto si mostri di essere attenti, chi parla non ha la certezza che siate sulla sua stessa lunghezza d’onda, quindi è necessario inviargli dei segnali di conferma; a tale scopo sono utili piccoli gesti (come annuire con il capo) e la mimica facciale con la produzione di fonemi senza significato (come “mmma”, “ah sì, e…”, ecc.) o da espressioni verbali come “davvero”, “capisco” e così via;
  4. Frasi invito o apri-porta: nei casi in cui una persona sta in silenzio ma dal linguaggio del corpo si deduce che vorrebbe dire qualcosa, si può far ripartire la comunicazione ponendo delle domande aperte, come ad esempio “Sembri triste, Ti va di parlarne?” o ad affermazioni quali: “Dimmi che ti succede”.
  5. Feedback: i quattro strumenti appena descritti non sono sufficienti però per provare che abbiamo compreso (ma danno solo prova del fatto che ci siamo e siamo in ascolto), è quindi necessario ricorrere allo strumento del feedback di cui ho parlato in precedenza.

Evitare il tranello del salvatore.

E’ naturale voler lenire le pene altrui: non vogliamo che le persone che amiamo soffrano. Ma ciò che a volte accade è che, nel tentativo di placare le pene, risolvere problemi, eliminare preoccupazioni e prevenire sofferenze finiamo per sostituirci al nostro interlocutore in difficoltà, agendo al suo posto, mentre lui stesso potrebbe provvedere altrettanto bene, se non meglio, da solo.

Chi si atteggia a salvatore di qualcun altro si sente ad un gradino più alto in merito alla facoltà di essere competente, capace ed efficace.

Coloro che assumono questo ruolo, oltre a vedere gli altri come incompetenti, inadeguati ed inefficaci, li considerano, e quindi trattano, come vittime indifese delle circostanze e, tanto più aiuto forniscono, tanto più diventa indifeso il destinatario di tale aiuto.

Per perseguire il bene di una persona, spesso senza volerlo, si fa il suo male.

L’atteggiamento corretto non è quello di salvare una persona sostituendosi a lei, ma è quello di assistere, ossia di starle a fianco e fare le cose insieme.

Gli errori nell’ascolto.

L’ascolto attivo aiuta a dissipare le inquietudini e la sofferenza che a volte assalgono gli esseri umani e si può affermare che esso rappresenti la prevenzione primaria per molti, se non per la maggior parte, dei problemi emozionali che   minacciano ogni relazione.

Nel tentativo di apparire disponibili ad ascoltare ad ogni costo, però, si rischia di compiere degli errori banali, come:

  1. Fermarsi ad ascoltare una persona quando non si ha il tempo o veramente voglia di farlo: meglio in questi casi essere onesti dicendo a chi ci parla che si hanno altri impegni e, se opportuno, concordare un altro momento in cui parlare;
  2. Ascoltare quando non si prova accettazione per chi ci sta parlando e si vorrebbe cambiarlo: per ascoltare attivamente è essenziale accettare che l’altro sia autentico fino in fondo e sospendere qualsiasi giudizio su di lui o su ciò che sta affermando; se non si è in grado di farlo, diventa necessario parlare e non limitarsi ad ascoltare;
  3. Strumentalizzare l’ascolto al fine di raccogliere informazioni che potrebbero essere utilizzate in seguito: questo è un atteggiamento che inevitabilmente genera risentimento;
  4. Considerare l’ascolto attivo una tecnica: la finalità non dev’essere dimostrare un’abilità, ma assistere e comunicare la propria comprensione.

Ci sono poi ulteriori errori che compromettono l’efficacia dell’ascolto attivo:

  1. Esagerare i sentimenti (ad es.: dire rincretinito dalla paura anziché spaventato);
  2. Minimizzare i sentimenti (ad es.: seccato anziché infuriato);
  3. Aggiungere al messaggio udito consigli o pensieri propri;
  4. Eliminare una o più parti del messaggio udito;
  5. Tornare su argomenti passati, fornire feedback su messaggi precedenti;
  6. Affrettarsi, anticipare l’interlocutore;
  7. Ripetere pedissequamente il messaggio dell’interlocutore;
  8. Interpretare o analizzare il messaggio udito.

Questi otto errori sono una sorta di tentativo di dirottare la conversazione o di condurre l’interlocutore nella direzione scelta da chi ascolta.

Vignetta con una coppia. Lui che parla con il megafono e lei che ascolta con la mano dietro l'orecchio

Una rassicurazione.

Si potrebbe pensare che ascoltare attivamente sia molto complicato, che ci siano troppe regole da ricordare e troppi rischi di sbagliare… ma non è così.

Per essere efficaci non è necessario essere tecnicamente ineccepibili, applicando correttamente tutte le regole sovraesposte, la cosa veramente importante è essere autenticamente intenzionati ad ascoltare l’altro e comunicare tale intenzione. Le persone si sentiranno comprese se avvertono chiaramente la volontà dell’ascoltatore di comprenderle.

Sono le intenzioni ad innescare le azioni; le tecniche e le competenze sono gli strumenti per agire.

Come abbiamo visto, il dialogo ha la grande qualità di far nascere o rinascere le relazioni. In questo articolo mi sono concentrata sull’importanza di ascoltare e sugli errori che spesso si compiono nel farlo, nel prossimo invece vedremo come parlare in modo da farci comprendere.

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